Il commissario Manuel da Silva ecc. ecc., l’ultimo erede di un ramo di Baroni non troppo famosi, se ne stava seduto in un piccolo bar, in riva al mare, un po’ fuori Lisbona. Era infagottato nel suo cappotto, quasi strangolato dalla sua sciarpa, tanto la portava stretta.
Aveva freddo, tirava un vento sottile e tagliente. Le gambe stese sotto un tavolino di canneté più vecchio di lui, che ormai, di anni ne aveva sessanta. Sul tavolo un bicchiere di sherry, quasi finito.
Pensava ai suoi colleghi che lo chiamava “saudade”. Lo dicevano con affetto e per questo lui ignorava la questione. In fondo avevano ragione, lui era spesso triste, malinconico. Spesso si metteva la maschera di chi ride anche di una sciocchezza. Però tutti sapevano che era solo una maschera.
Una splendida carriera professionale, rispettato, temuto. Ma la sua vita personale era uno sfacelo. Donne sbagliate, donne tristi, donne furbe.
In quel momento guardava il mare e pensava a Venezia. Alla sua bella storia con la sua Daniela, la principessa veneziana, conosciuta per caso a Firenze.
Già la sua mamma era fiorentina, il babbo un diplomatico e lui spesso aveva cambiato città. Però Firenze, per lui, era la sua seconda casa. Il suo italiano ottimo, con un accento forse un po’ genovese. Lui si era da poco laureato in psicologia e stava facendo la specializzazione. Erano gli anni ’80. Si erano conosciuti ad una presentazione di un libro. Si erano seduti accanto, due parole, un invito un po’ intraprendente, una cena allegra. Lei era una storica dell’arte Poi una scoperta continua di codici comuni, di interessi condivisi. Un grande amore, all’improvviso.
Il sesso per lui era sempre stato importante, per lei molto marginale. Riuscivano a vedersi una due volte al mese. Era la loro isola che non c’è. L’isola della felicità all’improvviso.
Ma qualcosa non funzionò e la storia d’un tratto svanì.
Forse lui chiedeva troppo. Aveva bisogno di riempire la sua solitudine, il suo vuoto. Lei voleva i suoi tempi e i suoi spazi.
Poi, qualche mese fa. l’aveva rincontrata a Firenze. Lui frequentava i soliti posti, i soliti bar e si erano rivisti.
Era rimasto come fulminato ed anche lei.
“Pensi al diavolo e ti appare” disse lei alzandosi ed abbracciandolo. Era visibilmente emozionata. Si sedettero e iniziarono a raccontarsi.
Anche lei ora era sola. ora. Una figlia e un marito che se ne era andato.
Come al solito lei andò dritta la punto:
“Manuel, quanto siamo stati stupidi. Io sono stata stupida. Ho avuto paura. Non mi fidavo fino in fondo di te. Eri troppo…perfetto. Era tutto troppo bello. Non ti è mai riuscito capire subito cosa volevo davvero da te, ma tu capivi la mia anima. Ti adattavi troppo bene a come avrei voluto che tu fossi. Pensavo che tu facessi il furbo, mi hai fatto una gran rabbia. Non ti arrabbiavi mai, al massimo un po’ di broncio. Mai una lite, mai uno sgarbo. Pensavo che eri troppo perfetto.”
“Già, ma io ero davvero così. Non so se era amore, ma io stavo bene solo quando parlavo con te. Era come vivere in un film in bianco e nero, che diventava a colori quando stavo con te. Lo sai che ancora oggi la tua voce mi rimbomba negli orecchi.
E’ stato un dramma quando, piano piano, non ricordavo più la voce dei genitori, degli amici, ma la tua era sempre lì.”
“Si hai ragione, Io non capii che in ogni rapporto umano ci sono aspetti che uniscono e altri che dividono. Bisognava semplicemente viverci e goderci i primi e aiutarsi a superare le difficoltà legate ai secondi. Io non l’ho fatto e non me lo sono mai perdonata.”
“Io non mi sono mai perdonato di non essere stato all’altezza. Dovevo rincorrerti, dovevo insistere. Anzi lasciare passare del tempo e poi tornare. Ma la sofferenza del tuo sparire è stata troppo. Mi si è rotto qualcosa dentro, mi si è rotto l’anima. Non mi è più riuscito rincollarla. Eri tu l’unica colla. Sai un po’ come nelle favole che scrivevo.”
“Scrivi ancora favole e poesie?”
“Sì, scrivo romanzi, racconti, poesie, ma ho fatto come Pessoa. Tanti nomi diversi. Ho fatto un patto d’acciaio con l’editore. Non dirà mai chi sono davvero. L’uomo del mistero.”
Si lasciarono così, con la promossa di rincontrarsi presto ed era quello che lui ora aveva in programma. Tra un paio di settimane l’avrebbe chiamata e sarebbe andato a Venezia.
Poi se ne tornò a casa, e si stese sul letto.
Guardò il riflesso di se stesso nello specchio dell’armadio. Stava seduto sul letto. Poi girò lo sguardo alla camera e ai mobili. “Sono vecchi quasi quanto me” penso. “Loro sono nati un po’ prima della guerra ed io un po’ dopo”.
Era tutto molto ordinato, ma la camera rimandava una sensazione di freddo. Anche lui pensò che non c’era anima. Anche lui si sentiva senza anima, senza più emozioni. Ora rimpiangeva il caos di quando viveva con lui Clara, l’ultima sua storia di una certa importanza. Le loro discussioni su ordine e disordine. Poi un giorno, stanca della vita che facevano, delle loro diversità se ne era andata.
Lui allora, piano piano, senza accorgersene aveva fatto sparire il disordine e le tracce di lei.
Ma ora quella casa gli sembrava simile ai surgelatori dei supermercati. Ordinati e freddi. Pieni di scatole dove non sai cosa davvero ci sia dentro.
Lui era un poliziotto che iniziava a sentirsi stanco di fare quel lavoro. Era prossimo alla pensione, ma la contraddizione era che si sentiva ancora con molta voglia di fare, di dare, ma non più a quel lavoro.
Gli piaceva ancora andare spesso al poligono militare. Era sempre stato un ottimo tiratore.
Lì si rilassava ancora.
L’altra sua grande passione era cucinare. Lui mangiava poco ma si cucinava sempre ed era contento quando poteva invitare a cena qualcuno dei suoi pochi amici.
La sera prima era stato a mangiare da lui le acciughe in salsa verde Sebastian, che era un medico triste quanto lui. Gli era morta da tempo moglie e non aveva figli. E anche lui ormai era stanco della sua la professione.
“Ogni giorno io e te abbiamo a che fare con la miseria della vita. Malattie,
sofferenza, delinquenza. Gli altri non si rendono conto di quanto tutto questo sia duro da sopportare.”
“Già riuscire a vedere in un fiore un fiore è tutto ciò che ci rimane da sperare.”
“Manuel, ma quando inviti una donna? O ti è rimasta solo la passione della cucina?”
Fu allora che guardò Sebastian, il suo amico, con occhi più attenti. Vide che indossava una camicia non stirata, capelli un po’ trascurati, polsini neri. “Si hai ragione. La prossima settimana farò il baccalà con i ceci e chissà se mi verrà in mente qualcuna da invitare. Ma non ho più trovato, lo sai, qualcuna che mi interessi, che mi incuriosisca davvero. Però tu Sebastian devi tenerti di più, devi vestirti meglio, se no non ritrovi la fidanzata neanche tu!” gli disse sorridendo.
“Manuel, non abbiamo più l’età per le fidanzate; semmai per un altro certo tipo di donne…”
“No Sebastian, io con quelle non ci sono mai andato e non voglio iniziare ora. Vedrai che ti capiterà di incontrare qualcuna. Lo sai l’amore è all’improvviso. E’ là fuori e prima o poi lo incontrerai. Basta avere coraggio. Ti ricordi quando ci insegnavano la differenza tra cronos e kairos? Il cronos è il tempo che scorre, ma il kairos, è un rinoceronte in corsa e quando appare va preso per il corno”
“Già, tu sei rimasto sempre Ulisse che cerca, che è curioso di tutto. Io no, sono stanco. Sono sopravvissuto a tutto ciò che ho amato davvero e la tragedia è stata che non me ne rendevo conto. Ho sprecato momenti che potevano essere bellissimi. Sono spariti nella banalità dell’ordinario. Questo è imperdonabile. Sono troppo vigliacco, se no l’avrei fatta finita.”
“Già, replico Manuel, cosi ti perderesti la mia cucina! Tieni bevi questo; è un Porto vecchio di 25 anni che mi hanno regalato tempo fa! Poi andiamocene a dormire. E’ tardi e domani ho un’operazione delicata e non voglio andarci addormentato.”
I due amici, finito il vino, si alzarono e come al solito si salutarono e sulla porta e si abbracciarono.
Come ogni volta, alla fine erano rimasti insieme poco più di un’ora. Era come se lo stare troppo insieme potesse esporli al rischio di ricordare troppo. I ricordi erano solo sofferenza.
Trovò strano non aver detto niente al suo miglior amico del fatto di aver rivisto Daniela. Si mise a pulire i piatti e pensò che quell’appartamento era diventato troppo grande per una persona sola. Troppe stanze in cui girovagare. Quando si rimane soli le stanze si riempiono di ombre del passato, di fantasmi tristi.
La vita che faceva, il dover stare fuori a volte per giorni gli impediva anche di prendersi un gatto. Già nella sua vita c’erano stati molti gatti e troppe donne. I gatti erano sempre stati quelli giusti, ma le donne no.
Ora era lì, solo che si guardava allo specchio. Era solo un’immagine riflessa.
Gli sembrava di vedere una di quelle vecchie foto degli album di famiglia, un po’ sbiadite.
La mattina si svegliò, come al solito, presto. Aveva dormito male, si svegliava spesso durante la notte. Si prese il suo solito caffè lungo e le sue fette biscottate. Si preparò con calma, come ogni mattina. Controllò la sua pistola, mise il colpo in canna, perché non era una giornata di routine.
Il giorno prima aveva arrestato un capo di una banda di spacciatori e dovevano spostarlo a piedi perché i lavori sulla strada non permettevano di usare le auto. Lui aveva pianificato tutto ed organizzato la scorta. Sapeva che gli amici del boss avrebbero approfittato dell’occasione per liberarlo. Era sicuro che fossero a conoscenza dello spostamento. Giravano troppi soldi per poter sperare che qualcuno dei poliziotti non avesse spifferato qualcosa. Si fidava solo di Carlos, il suo vice. Era un poliziotto più giovane di lui che era da sempre nella sua squadra. Un giovane allegro, ma serio e fidato, Un duro.
Arrivò al posto di Polizia. Fece un breve incontro per spiegare a tutti cosa fare.
Disse loro che sarebbe stato pericoloso, molto pericoloso. Quando tutti furono pronti,
uscirono. Il boss era, ammanettato, al centro del gruppo.
Lui precedeva tutti, pistola in mano. Era preoccupato dalla vicinanza di un Ostello, il più misero della città, abitato da studenti poveri, prostitute e travestiti, Ci sarebbe stata molta gente per la strada. E lui non aveva abbastanza uomini per proteggere tutti
Uscirono con cautela. Lui notò subito un gruppo di operai che lavoravano più avanti, con i martelli pneumatici e escavatori per la strada. Quando arrivò alla loro altezza, non li perse un attimo d’occhio. Uno di loro estrasse la mitraglietta dalla tuta,
Lui sparò immediatamente, colpendolo. Anche gli altri finti operai estrassero le armi ed iniziò una furiosa sparatoria.
Con la coda dell’occhio scorse un travestito, biondo ed alto assieme ad una ragazza che sembrava essere una studentessa. Erano rimaste ferme, in piedi, pietrificate dalla paura. Con un balzo le spinse a terra. La studentessa urlò e si portò la mano ad un fianco. Non sanguinava, sembrava stordita. Lui tornò a sparare. I banditi superstiti si dettero alla fuga. Il loro capo era per terra, morto, colpito da un proiettile vagante.
Si alzò e sostenne la ragazza aiutata dal travestito. Non sembrava ferita, forse un proiettile di rimbalzo aveva colpito anche lei, ma senza passare la pelle. Si rivolse al travestito: “Andiamo da voi a vedere come è messa”
Ai suoi uomini, che erano tutti illesi, salvo uno ferito di striscio, disse di chiamare subito le ambulanze.
Salì con le ragazze. L’Ostello era pieno di persone terrorizzate. Entrarono in una stanza e chiese alle ospiti di uscire, Fece sedere la ragazza, che aveva solo guardato di sfuggita, su di un letto. Il travestito disse che doveva scappare. Non voleva essere coinvolta. Il poliziotto la squadrò e assentì con la testa. Rimasto solo con la ragazza le fece alzare il golf e vide solo un grosso ematoma, ma nessuna ferita seria.
“Ci metta del ghiaccio e una pomata. Se la faccia dare in farmacia. Passerà presto.
Ha avuto fortuna, davvero…- si guadarono in silenzio per un lungo istante.
A proposito io mi chiamo Sebastian” Disse il poliziotto. La ragazza lo guardò,
sorridendo: “Non l’ho neanche ringraziato. Mi chiamo Adele. Se non ci avesse spinto per terra a quest’ora chissà dove sarei. E’ molto gentile a prendersi cura di me.”
“Non ho fatto niente, anzi avrei dovuto essere più attento, ma non si può prevedere sempre tutto.”
“Si ha ragione, capisco” gli rispose con un sorriso un po’ triste.
“Si faccia portare fuori stasera, dal suo ragazzo e dimentichi”
“Non ho un ragazzo”
“Sola come me - disse con un sorriso triste Sebastian- anche io non ho moglie o meglio, non ce l’ho più. Se ne è andata lontana. Non mi dà problemi essere solo, ma a volte avverto la solitudine. E’ come quando ci si taglia con una lama affilata. Non si sente subito il dolore, ma si vede il sangue. Poi fa male per giorni.”
Lei rispose: “Per me la solitudine è la mancanza d’amore.”
D’impulso Sebastian accarezzò i capelli della ragazza. Lei gli sorrise e posò la sua mano sulla sua “Grazie ancora”
“Ma di cosa?” Rispose Sebastian
“Per vedermi. Lei mi ha visto prima e mi vede ora”.
Lui le sorrise de uscì.
Era sconvolto, ma felice. Si rese conto che dopo tanto tempo aveva provato di nuovo un’emozione forte e bellissima.
Pensò a come era strana la vita. Si sentì ribollire. Pensò che quella strana ragazza, di cui non sapeva niente, che poteva essere una studentessa come una prostituta, l’aveva travolto.
Quando non ci pensi più, quando non fai più niente per trovare l’amore è lui che trova te. Penso che non si può fuggire dalla vita, perché ti ritrova sempre.
Andò dal suo vice e gli disse di preparare lui il rapporto. Lui doveva fare una cosa subito. Il suo vice non si meravigliò. Ormai sapeva che il suo capo era imprevedibile.
Si salutarono e lui tornò su da Adele. Non le aveva chiesto neanche il suo numero di cellulare. Non voleva correre il rischio che lei svanisse. Fece le scale a due a due con un bel fiatone e la trovò seduta sul letto a
comprimersi l’ematoma con il ghiaccio.
“Ciao, volevo chiederti se stasera ti va di cenare insieme. Cucinerò baccalà con i ceci, non è un gran che ma mi viene sempre bene! Sai, è passato troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo visti” – disse scherzando
“Si volentieri, –rispose lei sorridendo-, alle sette stasera, qui sotto, va bene? passami a prendere.”
Lui la guardò, le accarezzo i capelli, le sorrise.
“Benissimo alle sette, a dopo”
Allora penso che sì, l’amore è sempre all’improvviso. E’ qualcosa che spesso non vuoi vedere perché fa paura. E’ qualcosa che ti spaventa così profondamente, che il tuo inconscio neanche te lo fa vedere. Anzi ti fa scappare lontano.
Ma lui questa volta non sarebbe scappato.
Chiuse la porta di Adele e uscì in un mondo diverso.
Aveva freddo, tirava un vento sottile e tagliente. Le gambe stese sotto un tavolino di canneté più vecchio di lui, che ormai, di anni ne aveva sessanta. Sul tavolo un bicchiere di sherry, quasi finito.
Pensava ai suoi colleghi che lo chiamava “saudade”. Lo dicevano con affetto e per questo lui ignorava la questione. In fondo avevano ragione, lui era spesso triste, malinconico. Spesso si metteva la maschera di chi ride anche di una sciocchezza. Però tutti sapevano che era solo una maschera.
Una splendida carriera professionale, rispettato, temuto. Ma la sua vita personale era uno sfacelo. Donne sbagliate, donne tristi, donne furbe.
In quel momento guardava il mare e pensava a Venezia. Alla sua bella storia con la sua Daniela, la principessa veneziana, conosciuta per caso a Firenze.
Già la sua mamma era fiorentina, il babbo un diplomatico e lui spesso aveva cambiato città. Però Firenze, per lui, era la sua seconda casa. Il suo italiano ottimo, con un accento forse un po’ genovese. Lui si era da poco laureato in psicologia e stava facendo la specializzazione. Erano gli anni ’80. Si erano conosciuti ad una presentazione di un libro. Si erano seduti accanto, due parole, un invito un po’ intraprendente, una cena allegra. Lei era una storica dell’arte Poi una scoperta continua di codici comuni, di interessi condivisi. Un grande amore, all’improvviso.
Il sesso per lui era sempre stato importante, per lei molto marginale. Riuscivano a vedersi una due volte al mese. Era la loro isola che non c’è. L’isola della felicità all’improvviso.
Ma qualcosa non funzionò e la storia d’un tratto svanì.
Forse lui chiedeva troppo. Aveva bisogno di riempire la sua solitudine, il suo vuoto. Lei voleva i suoi tempi e i suoi spazi.
Poi, qualche mese fa. l’aveva rincontrata a Firenze. Lui frequentava i soliti posti, i soliti bar e si erano rivisti.
Era rimasto come fulminato ed anche lei.
“Pensi al diavolo e ti appare” disse lei alzandosi ed abbracciandolo. Era visibilmente emozionata. Si sedettero e iniziarono a raccontarsi.
Anche lei ora era sola. ora. Una figlia e un marito che se ne era andato.
Come al solito lei andò dritta la punto:
“Manuel, quanto siamo stati stupidi. Io sono stata stupida. Ho avuto paura. Non mi fidavo fino in fondo di te. Eri troppo…perfetto. Era tutto troppo bello. Non ti è mai riuscito capire subito cosa volevo davvero da te, ma tu capivi la mia anima. Ti adattavi troppo bene a come avrei voluto che tu fossi. Pensavo che tu facessi il furbo, mi hai fatto una gran rabbia. Non ti arrabbiavi mai, al massimo un po’ di broncio. Mai una lite, mai uno sgarbo. Pensavo che eri troppo perfetto.”
“Già, ma io ero davvero così. Non so se era amore, ma io stavo bene solo quando parlavo con te. Era come vivere in un film in bianco e nero, che diventava a colori quando stavo con te. Lo sai che ancora oggi la tua voce mi rimbomba negli orecchi.
E’ stato un dramma quando, piano piano, non ricordavo più la voce dei genitori, degli amici, ma la tua era sempre lì.”
“Si hai ragione, Io non capii che in ogni rapporto umano ci sono aspetti che uniscono e altri che dividono. Bisognava semplicemente viverci e goderci i primi e aiutarsi a superare le difficoltà legate ai secondi. Io non l’ho fatto e non me lo sono mai perdonata.”
“Io non mi sono mai perdonato di non essere stato all’altezza. Dovevo rincorrerti, dovevo insistere. Anzi lasciare passare del tempo e poi tornare. Ma la sofferenza del tuo sparire è stata troppo. Mi si è rotto qualcosa dentro, mi si è rotto l’anima. Non mi è più riuscito rincollarla. Eri tu l’unica colla. Sai un po’ come nelle favole che scrivevo.”
“Scrivi ancora favole e poesie?”
“Sì, scrivo romanzi, racconti, poesie, ma ho fatto come Pessoa. Tanti nomi diversi. Ho fatto un patto d’acciaio con l’editore. Non dirà mai chi sono davvero. L’uomo del mistero.”
Si lasciarono così, con la promossa di rincontrarsi presto ed era quello che lui ora aveva in programma. Tra un paio di settimane l’avrebbe chiamata e sarebbe andato a Venezia.
Poi se ne tornò a casa, e si stese sul letto.
Guardò il riflesso di se stesso nello specchio dell’armadio. Stava seduto sul letto. Poi girò lo sguardo alla camera e ai mobili. “Sono vecchi quasi quanto me” penso. “Loro sono nati un po’ prima della guerra ed io un po’ dopo”.
Era tutto molto ordinato, ma la camera rimandava una sensazione di freddo. Anche lui pensò che non c’era anima. Anche lui si sentiva senza anima, senza più emozioni. Ora rimpiangeva il caos di quando viveva con lui Clara, l’ultima sua storia di una certa importanza. Le loro discussioni su ordine e disordine. Poi un giorno, stanca della vita che facevano, delle loro diversità se ne era andata.
Lui allora, piano piano, senza accorgersene aveva fatto sparire il disordine e le tracce di lei.
Ma ora quella casa gli sembrava simile ai surgelatori dei supermercati. Ordinati e freddi. Pieni di scatole dove non sai cosa davvero ci sia dentro.
Lui era un poliziotto che iniziava a sentirsi stanco di fare quel lavoro. Era prossimo alla pensione, ma la contraddizione era che si sentiva ancora con molta voglia di fare, di dare, ma non più a quel lavoro.
Gli piaceva ancora andare spesso al poligono militare. Era sempre stato un ottimo tiratore.
Lì si rilassava ancora.
L’altra sua grande passione era cucinare. Lui mangiava poco ma si cucinava sempre ed era contento quando poteva invitare a cena qualcuno dei suoi pochi amici.
La sera prima era stato a mangiare da lui le acciughe in salsa verde Sebastian, che era un medico triste quanto lui. Gli era morta da tempo moglie e non aveva figli. E anche lui ormai era stanco della sua la professione.
“Ogni giorno io e te abbiamo a che fare con la miseria della vita. Malattie,
sofferenza, delinquenza. Gli altri non si rendono conto di quanto tutto questo sia duro da sopportare.”
“Già riuscire a vedere in un fiore un fiore è tutto ciò che ci rimane da sperare.”
“Manuel, ma quando inviti una donna? O ti è rimasta solo la passione della cucina?”
Fu allora che guardò Sebastian, il suo amico, con occhi più attenti. Vide che indossava una camicia non stirata, capelli un po’ trascurati, polsini neri. “Si hai ragione. La prossima settimana farò il baccalà con i ceci e chissà se mi verrà in mente qualcuna da invitare. Ma non ho più trovato, lo sai, qualcuna che mi interessi, che mi incuriosisca davvero. Però tu Sebastian devi tenerti di più, devi vestirti meglio, se no non ritrovi la fidanzata neanche tu!” gli disse sorridendo.
“Manuel, non abbiamo più l’età per le fidanzate; semmai per un altro certo tipo di donne…”
“No Sebastian, io con quelle non ci sono mai andato e non voglio iniziare ora. Vedrai che ti capiterà di incontrare qualcuna. Lo sai l’amore è all’improvviso. E’ là fuori e prima o poi lo incontrerai. Basta avere coraggio. Ti ricordi quando ci insegnavano la differenza tra cronos e kairos? Il cronos è il tempo che scorre, ma il kairos, è un rinoceronte in corsa e quando appare va preso per il corno”
“Già, tu sei rimasto sempre Ulisse che cerca, che è curioso di tutto. Io no, sono stanco. Sono sopravvissuto a tutto ciò che ho amato davvero e la tragedia è stata che non me ne rendevo conto. Ho sprecato momenti che potevano essere bellissimi. Sono spariti nella banalità dell’ordinario. Questo è imperdonabile. Sono troppo vigliacco, se no l’avrei fatta finita.”
“Già, replico Manuel, cosi ti perderesti la mia cucina! Tieni bevi questo; è un Porto vecchio di 25 anni che mi hanno regalato tempo fa! Poi andiamocene a dormire. E’ tardi e domani ho un’operazione delicata e non voglio andarci addormentato.”
I due amici, finito il vino, si alzarono e come al solito si salutarono e sulla porta e si abbracciarono.
Come ogni volta, alla fine erano rimasti insieme poco più di un’ora. Era come se lo stare troppo insieme potesse esporli al rischio di ricordare troppo. I ricordi erano solo sofferenza.
Trovò strano non aver detto niente al suo miglior amico del fatto di aver rivisto Daniela. Si mise a pulire i piatti e pensò che quell’appartamento era diventato troppo grande per una persona sola. Troppe stanze in cui girovagare. Quando si rimane soli le stanze si riempiono di ombre del passato, di fantasmi tristi.
La vita che faceva, il dover stare fuori a volte per giorni gli impediva anche di prendersi un gatto. Già nella sua vita c’erano stati molti gatti e troppe donne. I gatti erano sempre stati quelli giusti, ma le donne no.
Ora era lì, solo che si guardava allo specchio. Era solo un’immagine riflessa.
Gli sembrava di vedere una di quelle vecchie foto degli album di famiglia, un po’ sbiadite.
La mattina si svegliò, come al solito, presto. Aveva dormito male, si svegliava spesso durante la notte. Si prese il suo solito caffè lungo e le sue fette biscottate. Si preparò con calma, come ogni mattina. Controllò la sua pistola, mise il colpo in canna, perché non era una giornata di routine.
Il giorno prima aveva arrestato un capo di una banda di spacciatori e dovevano spostarlo a piedi perché i lavori sulla strada non permettevano di usare le auto. Lui aveva pianificato tutto ed organizzato la scorta. Sapeva che gli amici del boss avrebbero approfittato dell’occasione per liberarlo. Era sicuro che fossero a conoscenza dello spostamento. Giravano troppi soldi per poter sperare che qualcuno dei poliziotti non avesse spifferato qualcosa. Si fidava solo di Carlos, il suo vice. Era un poliziotto più giovane di lui che era da sempre nella sua squadra. Un giovane allegro, ma serio e fidato, Un duro.
Arrivò al posto di Polizia. Fece un breve incontro per spiegare a tutti cosa fare.
Disse loro che sarebbe stato pericoloso, molto pericoloso. Quando tutti furono pronti,
uscirono. Il boss era, ammanettato, al centro del gruppo.
Lui precedeva tutti, pistola in mano. Era preoccupato dalla vicinanza di un Ostello, il più misero della città, abitato da studenti poveri, prostitute e travestiti, Ci sarebbe stata molta gente per la strada. E lui non aveva abbastanza uomini per proteggere tutti
Uscirono con cautela. Lui notò subito un gruppo di operai che lavoravano più avanti, con i martelli pneumatici e escavatori per la strada. Quando arrivò alla loro altezza, non li perse un attimo d’occhio. Uno di loro estrasse la mitraglietta dalla tuta,
Lui sparò immediatamente, colpendolo. Anche gli altri finti operai estrassero le armi ed iniziò una furiosa sparatoria.
Con la coda dell’occhio scorse un travestito, biondo ed alto assieme ad una ragazza che sembrava essere una studentessa. Erano rimaste ferme, in piedi, pietrificate dalla paura. Con un balzo le spinse a terra. La studentessa urlò e si portò la mano ad un fianco. Non sanguinava, sembrava stordita. Lui tornò a sparare. I banditi superstiti si dettero alla fuga. Il loro capo era per terra, morto, colpito da un proiettile vagante.
Si alzò e sostenne la ragazza aiutata dal travestito. Non sembrava ferita, forse un proiettile di rimbalzo aveva colpito anche lei, ma senza passare la pelle. Si rivolse al travestito: “Andiamo da voi a vedere come è messa”
Ai suoi uomini, che erano tutti illesi, salvo uno ferito di striscio, disse di chiamare subito le ambulanze.
Salì con le ragazze. L’Ostello era pieno di persone terrorizzate. Entrarono in una stanza e chiese alle ospiti di uscire, Fece sedere la ragazza, che aveva solo guardato di sfuggita, su di un letto. Il travestito disse che doveva scappare. Non voleva essere coinvolta. Il poliziotto la squadrò e assentì con la testa. Rimasto solo con la ragazza le fece alzare il golf e vide solo un grosso ematoma, ma nessuna ferita seria.
“Ci metta del ghiaccio e una pomata. Se la faccia dare in farmacia. Passerà presto.
Ha avuto fortuna, davvero…- si guadarono in silenzio per un lungo istante.
A proposito io mi chiamo Sebastian” Disse il poliziotto. La ragazza lo guardò,
sorridendo: “Non l’ho neanche ringraziato. Mi chiamo Adele. Se non ci avesse spinto per terra a quest’ora chissà dove sarei. E’ molto gentile a prendersi cura di me.”
“Non ho fatto niente, anzi avrei dovuto essere più attento, ma non si può prevedere sempre tutto.”
“Si ha ragione, capisco” gli rispose con un sorriso un po’ triste.
“Si faccia portare fuori stasera, dal suo ragazzo e dimentichi”
“Non ho un ragazzo”
“Sola come me - disse con un sorriso triste Sebastian- anche io non ho moglie o meglio, non ce l’ho più. Se ne è andata lontana. Non mi dà problemi essere solo, ma a volte avverto la solitudine. E’ come quando ci si taglia con una lama affilata. Non si sente subito il dolore, ma si vede il sangue. Poi fa male per giorni.”
Lei rispose: “Per me la solitudine è la mancanza d’amore.”
D’impulso Sebastian accarezzò i capelli della ragazza. Lei gli sorrise e posò la sua mano sulla sua “Grazie ancora”
“Ma di cosa?” Rispose Sebastian
“Per vedermi. Lei mi ha visto prima e mi vede ora”.
Lui le sorrise de uscì.
Era sconvolto, ma felice. Si rese conto che dopo tanto tempo aveva provato di nuovo un’emozione forte e bellissima.
Pensò a come era strana la vita. Si sentì ribollire. Pensò che quella strana ragazza, di cui non sapeva niente, che poteva essere una studentessa come una prostituta, l’aveva travolto.
Quando non ci pensi più, quando non fai più niente per trovare l’amore è lui che trova te. Penso che non si può fuggire dalla vita, perché ti ritrova sempre.
Andò dal suo vice e gli disse di preparare lui il rapporto. Lui doveva fare una cosa subito. Il suo vice non si meravigliò. Ormai sapeva che il suo capo era imprevedibile.
Si salutarono e lui tornò su da Adele. Non le aveva chiesto neanche il suo numero di cellulare. Non voleva correre il rischio che lei svanisse. Fece le scale a due a due con un bel fiatone e la trovò seduta sul letto a
comprimersi l’ematoma con il ghiaccio.
“Ciao, volevo chiederti se stasera ti va di cenare insieme. Cucinerò baccalà con i ceci, non è un gran che ma mi viene sempre bene! Sai, è passato troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo visti” – disse scherzando
“Si volentieri, –rispose lei sorridendo-, alle sette stasera, qui sotto, va bene? passami a prendere.”
Lui la guardò, le accarezzo i capelli, le sorrise.
“Benissimo alle sette, a dopo”
Allora penso che sì, l’amore è sempre all’improvviso. E’ qualcosa che spesso non vuoi vedere perché fa paura. E’ qualcosa che ti spaventa così profondamente, che il tuo inconscio neanche te lo fa vedere. Anzi ti fa scappare lontano.
Ma lui questa volta non sarebbe scappato.
Chiuse la porta di Adele e uscì in un mondo diverso.